Lettera di Sergio Prati a Enzo D’Angelo, 1993. Risposta di Enzo D’Angelo, senza data
Nel primo numero del 1993 di Realtà Sociale apparvero due articoli scritti nel 1992, dopo l’inizio del periodo di tangentopoli: “Italia non dimenticarti” di Mario Luzi e ” La repubblica di Magnolia” di Enzo D’Angelo, visibili nella selezione dalla versione cartacea di Realtà Sociale 1993, ai quali Sergio Prati rispose con le lettere qui pubblicate.
Lettera di Sergio Prati a Enzo D’Angelo, 14/10/1993.
Carissimo Sergio,
il mio disincanto preventivo che, in fondo, a modo tuo condividi, forse è dovuto alle nostre letture classiche. Si era all’inizio di tangentopoli e purtroppo, come sai, quanto poi avvenne non ha smentito i miei presagi ma li ha confermati generosamente.
Il mio disincanto, che ancora una volta vedi beffardo, è anche la sfiducia storica di chi, rassegnato, guarda scorrere eventi che si ripetono, irreversibili, senza pausa o senza punteggiatura come nel greco antico, per poter ritornare nello stesso fiume di sempre eracliteo.
Non saprei cosa ci sia di non chiaro. La mia è una perplessità palese e per niente labirintica come, ad esempio, quella di Borges nella Biblioteca di Babele, Si parva licet componere magnis. Hai capito sempre tutto il mio agire, anche quello teatrale e più criptico e, puntualmente, ne hai fornito lucidissime interpretazioni.
Anzi, per usufruire ancora dell’ ‘oscuro’ Eraclito ormai desto, se l’anima fosse quel ragionare che alimenta se stesso, un’anticipazione della coscienza cristiana in cui siamo cresciuti, come potremmo trovare rifugio tra i dormienti? Dove esporre la perplessità o il disappunto? Dibatterne solo tra amici? Non uscire dal ‘bozzolo dei dormienti’ dal quale pure tu esci anche con queste due lettere?
Gi autori classici e mitteleuropei, che abbiamo condiviso, non erano riservati nè teneri come non lo era Danilo Dolci (che citi nella lettera a Luzi) in quella conferenza in cui lo conobbi, nel 1982 a Vancouver.
Ti penso spesso, con il dono della tua acuta stima e con la tua voce rimasta sempre giovane nel tono e nell’entusiasmo, invero beffarda con la fugacità del tempo mai devoto.
E mi manchi.
Tuo, Enzo D’Angelo
Il mio disincanto, che ancora una volta vedi beffardo, è anche la sfiducia storica di chi, rassegnato, guarda scorrere eventi che si ripetono, irreversibili, senza pausa o senza punteggiatura come nel greco antico, per poter ritornare nello stesso fiume di sempre eracliteo.
Non saprei cosa ci sia di non chiaro. La mia è una perplessità palese e per niente labirintica come, ad esempio, quella di Borges nella Biblioteca di Babele, Si parva licet componere magnis. Hai capito sempre tutto il mio agire, anche quello teatrale e più criptico e, puntualmente, ne hai fornito lucidissime interpretazioni.
Anzi, per usufruire ancora dell’ ‘oscuro’ Eraclito ormai desto, se l’anima fosse quel ragionare che alimenta se stesso, un’anticipazione della coscienza cristiana in cui siamo cresciuti, come potremmo trovare rifugio tra i dormienti? Dove esporre la perplessità o il disappunto? Dibatterne solo tra amici? Non uscire dal ‘bozzolo dei dormienti’ dal quale pure tu esci anche con queste due lettere?
Gi autori classici e mitteleuropei, che abbiamo condiviso, non erano riservati nè teneri come non lo era Danilo Dolci (che citi nella lettera a Luzi) in quella conferenza in cui lo conobbi, nel 1982 a Vancouver.
Ti penso spesso, con il dono della tua acuta stima e con la tua voce rimasta sempre giovane nel tono e nell’entusiasmo, invero beffarda con la fugacità del tempo mai devoto.
E mi manchi.
Tuo, Enzo D’Angelo
Risposta postuma di Enzo D'Angelo a Sergio Prati, senza data