James Beck

Sulla prolusione di Enzo D’Angelo e sulla sua ‘Piazza Signoria, tra conservazione e progetto’.

 


Mi sembra notevole questa capacità di mettere insieme tante teorie, opinioni ed esperienze diverse perfino nella stessa sessione. Enzo D’Angelo è enciclopedico ed ha un coraggio temerario nel portare diversità e contraddizioni al confronto, come anche per stimolare ad andare avanti le diverse discipline.

Il problema delle piazze storiche viene raramente affrontato nella sua giusta ampiezza. La varietà dei problemi e delle circostanze rende difficile l’applicazione di ricette da manuale ma, allo stesso tempo, non si può ignorare la necessità di una visione unitaria, storica e culturale, di questa particolare architettura così integrata con la vita pubblica. Ovviamente, la complessità dei problemi favorisce sia l’inibizione che gli eccessi. Tuttavia chiunque può rendersi conto di quanto siano funzionali e soddisfacenti quelle piazze che, dopo centinaia di anni, continuano ad essere utilizzate, per esempio come luoghi di mercato. Ma quante sono le piazze cimiterializzate e dimenticate, anche dopo costosi restauri, o per varie cause degradate? Non sarebbe il caso di censirle? Dimenticandole si causa un triste vuoto nella storia dell’urbanistica e nella storia dell’umanità.   La vicenda della pavimentazione di piazza della Signoria a Firenze mi sembra un caso clamoroso di dominio dell’inibizione. La riflessione di Enzo D’Angelo su questo problema potrebbe sembrare un concentrato resoconto di un caso che nei suoi aspetti rappresenta un problema diffuso. Certamente è anche questo. Ma ci leggo anche uno stimolante esercizio contro l’inibizione che mi sembra sfuggito all’attenzione di quasi tutti. Con consapevolezza storica e filosofica, purtroppo non comune tra chi si occupa di architettura e restauro, D’Angelo sviluppa un vivace rapporto tra passato e presente che è una condizione necessaria per progettare e conservare. Queste due attività non sono solo compatibili ma, se connesse, si arricchiscono vicendevolmente.

 La relazione vitale che proviene dal confronto e dal dialogo, che per D’Angelo è un nesso fondamentale tra passato e presente, è alla base del “controllo prima della libertà” nella lucidissima analisi dello stato di fatto ma non attenua il coraggio delle ipotesi. La modulazione variabile ma discreta, l’innesto con le arterie ormai pedonalizzate (eccezion fatta per le pattuglie di polizia), dei colori tenui come il disegno, dovrebbero mantenere tracce di diverse epoche con varie planimetrie sovrapposte con riferimenti e citazioni in un vero e proprio racconto architettonico che, anche con una meridiana calpestabile, dopotutto potrebbe costituire un altro monumento anche altrove. Ma questa non è estraneazione. Direi che è una prescrizione antinibitoria. Una volta rappresentato il problema, D’Angelo va più in là e lo affronta. Fra tante ipotesi ci sarà da fare una scelta. Fra le tante idee realizzabili, anche diverse o in apparente contrasto, si dovrà scegliere, comporre e realizzare se si vuol conservare bene. Ecco dove ci conduce la sua proposta. Una lettura attuale di uno spazio monumentale che deve continuare a vivere con un progetto. Una precisa scelta potrebbe sembrare mancante ma, a saper leggere, non è poi tanto nascosta. La rappresentazione del dilemma diventa un processo progettuale che guarda avanti senza ignorare il passato. D’Angelo crede nel tempo della storia. “Il tempo che c’insegue” possiamo anche fingere che non esista ma passa e lascia documenti. Se ci rifugiamo nell’ignoranza di questa realtà  perdiamo, anzitutto, il nostro futuro e noi stessi…

da Atti della 2ª Conferenza Internazionale sul Restauro, 1996

Fonti:

rivista echos: www.echos.fi.it

www.conferenzaconservazione.it

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